Abbiamo scherzato.
Abbiamo ancora una volta giocato con la vita delle persone più indifese.
E dopo averli chiamati eroi e averli ringraziati con altisonanti parole di stima, li abbiamo semplicemente dimenticati.
Finita l’emergenza o per meglio dire attenuatasi la morsa del contagio, quella parte migliore di noi, che si sperava avrebbe prevalso dopo la tempesta vissuta, è semplicemente tornata a seguire la misantropia e il nichilismo degli interessi economici.
E abbiamo dimenticato a bordo delle loro navi gli Uomini dei nostri equipaggi, la loro professionalità, la loro dedizione, e il senso del dovere sempre dimostrato, estromettendoli da qualsiasi tipo di intervento e sostegno economico.
E per questo occorrono delle scuse e dopo le scuse imporsi l’obiettivo di provare a cambiare le cose o quantomeno chiedere che si cambi direzione.
La direzione unica e non più procrastinabile dovrà essere l‘Uomo di mare.
Il decreto Rilancio nell’articolo 199 ha riservato eccezionali interventi economici attraverso il riconoscimento di contributi ai lavoratori portuali (ex art. 84/94) ed al servizio degli ormeggiatori per le ridotte prestazione di ormeggio dato dalla contrazione dei traffici, oppure attraverso la riduzione dell’importo dei canoni di concessione per le gestioni di stazioni marittimi e dei servizi di supporto ai passeggeri per i terminalisti, oppure attraverso il rinnovo della concessioni per il servizio di rimorchio o per la gestione del servizio di continuità territoriale.
Ma nessuna voce di quest’articolo ha fatto nessun riferimento ai marittimi che sono rimasti senza chiamata d’imbarco a causa della riduzione e della contrazione degli scambi commerciali. Forse non avrebbero avuto diritto anche loro a un “ristoro” per la perdita subìta?
E invece il silenzio.
Leggiamo una riflessione di Stefano Messina, presidente di AssArmatori: “Come associazioni di imprese armatoriali dovremmo preoccuparci, in primo luogo, delle imprese italiane e dei loro lavoratori; secondo me sono queste le compagnie ad avere diritto a quegli aiuti che fino ad oggi non sono stati resi disponibili per le asserite ristrettezze economiche delle finanze pubbliche”.
“In un momento così grave, crediamo che tutti dovrebbero convenire che le poche risorse disponibili vadano assegnate secondo un ordine di priorità che veda al primo posto quei soggetti che debbono stare al centro della nostra azione e cioè le imprese che hanno continuato a operare nei servizi strategici – come sono i servizi di trasporto combinato passeggeri e merci e di continuità territoriale con le isole – e i marittimi italiani imbarcati sulle nostre navi. Oggi sono questi i soggetti più fragili e maggiormente esposti nella crisi. L’emendamento proposto non solo li dimentica ma intende sottrarre ulteriormente fondi dello Stato che ben potrebbero, nell’emergenza, essere utilizzati per gli scopi che tutti noi dovremmo perseguire”.
Messina è intervenuto duramente all’indomani della formulazione dell’art. 199 – bis del cosiddetto Decreto Rilancio annunciato e fortemente voluto da Confitarma con il quale si introducono “sgravi contributivi per le imprese di cabotaggio marittimo” che ci dice che “al fine di far fronte alle ricadute economiche negative derivanti dalle misure di limitazione alla mobilità conseguenti alla emergenza epidemiologica da covid–19, per consentire la prosecuzione delle attività essenziali marittime, la continuità territoriale, la salvaguardia dei livelli occupazionali, la competitività ed efficienza del trasporto locale ed insulare via mare, i benefici di cui all’art. 6, comma I, del Decreto Legge 30 dicembre 1997, n° 457, convertito con modificazioni, dalla legge 27 Febbraio 1998, n° 30, sono estesi per l’anno 2020, alle imprese armatoriali per le navi che esercitano, anche non in via esclusiva per l’intero anno, l’attività di cabotaggio”
Ci basta usare semplicemente le parole di Stefano Messina per sintetizzare la gravità di questa modifica al decreto : “Se, infatti, questa richiesta venisse accolta e la legge modificata ci troveremmo nella situazione paradossale in cui lo Stato utilizza fondi per agevolare il costo del lavoro nelle attività ricreative o commerciali su navi da crociera, mentre nega gli stessi aiuti ai marittimi italiani che operano su navi che garantiscono servizi essenziali di trasporto passeggeri e merci, in particolare da e per le isole garantendo i diritti di rango costituzionale sottesi alla continuità territoriale delle popolazioni ivi residenti, questa sarebbe una ipotesi molto grave!”.
Ed anche se nella relazione illustrativa all’emendamento si legge che “v’è senz’altro l’esigenza di mantenere il regolare, anche se ridotto, servizio di continuità territoriale per merci e passeggeri con le isole, cosa che oggi è altamente a rischio e che, in assenza di idonee misure di sostegno da parte dello Stato, ci si potrebbe trovare nell’impossibilità di garantire a scapito di intere popolazioni di italiani”e ancora che “oggi l’istituto della de-contribuzione dell’art. 6 della L. 30/98 conforterebbe, ancorché parzialmente, il problema straordinario della mancanza di incassi dell’intero comparto del cabotaggio ed eviterebbe il fallimento di intere compagnie marittime, la salvaguardia dei livelli occupazionali, la competitività ed efficienza del trasporto locale e insulare via mare”, tuttavia sembra trattarsi ancora una volta di supporto e sostegno a quelle compagnie di navigazione che già in virtù delle stesso decreto hanno visto rinnovarsi automaticamente la concessione per il servizio di continuità territoriale o quelle compagnie che non possono effettuare cabotaggio ma che hanno specificamente chiesto la deroga per poterlo fare e che occupano equipaggi per la maggior parte stranieri.
La sensazione è che si voglia usare la situazione drammatica innescata dall’emergenza Covid-19 per depositare una pietra tombale sulla marineria italiana.
Se è vero che l’Europa ha preparato il piano di aiuti agli stati per la gestione della crisi subordinandoli alla presentazione di radicali riforme di sistema, allora forse è arrivato il momento di pensare a una revisione strutturale del marineria italiana. Invece di continuare a ricevere indicazioni e istruzioni solo da quegli attori economici che certamente guardano ai loro interessi ma che potrebbero invece essere arginati, nel loro strapotere, da interventi politici che pongano delle regole e delle norme che rimettano il lavoro e nel nostro caso la gente di mare al centro della programmazione legislativa.
È nella giornata della festa del Lavoro – in piena pandemia – che la Federazione Internazionale dei Trasporti [ITF] ha lanciato il suo allarme salari. “Il Covid-19 non può essere usato come una scusa per abbassare gli stipendi e le condizioni di lavoro dei marittimi”. Nonostante il ruolo vitale che essi svolgono nel commercio, denunciava il sindacato internazionale, “alcune aziende stanno cercando di usare la pandemia per minare gli standard nazionali nel settore, inclusa la sostituzione degli equipaggi esistenti con marittimi a termini e condizioni internazionali sostanzialmente inferiori a quelli nazionali”.
L’ITF lamentava che molte compagnie di traghetti hanno licenziato i marittimi costringendoli a scegliere tra accettare un congedo non retribuito o essere lasciati a casa. Le aziende stanno usando la pandemia per minare gli accordi di contrattazione collettiva già esistenti” e “questo è assolutamente inaccettabile“.
La denuncia di ITF si aggiungeva alla Lettera Circolare IMO 4204/add.6, che in considerazione della professionalità dei marittimi, i quali in prima linea e spesso distanti dalle loro famiglie, garantiscono il trasporto marittimo permettendo lo scambio di beni essenziali a beneficio di tutta l’umanità – ha raccomanda a tutti gli stati membri di dichiarare tutti i lavoratori del mare dai marittimi agli operatori portuali ai servizi ancillari alla navigazione (quali piloti, rimorchiatori o rifornitori navali ), quali “Key Workers” quindi “vitali” per l’economia globale.
Ora più che mai, affermava poi ITF, le rotte commerciali critiche che forniscono rifornimenti essenziali dovrebbero essere presidiate con marittimi nazionali. “Usare questa pandemia come un’opportunità per erodere ulteriormente le condizioni sulle rotte dei traghetti è opportunismo nella peggiore delle ipotesi”.
E ancora le compagnie marittime che ricevono fondi governativi “hanno l’obbligo di garantire posti di lavoro ai marittimi nazionali poiché tali fondi arrivano dai soldi dei contribuenti”
Il leit motiv dunque a livello internazionale è quello di porre al centro delle scelte politiche ed economiche nazionali il lavoro della gente di mare.
Ma nel Bel Paese le scelte continuano ad andare in direzione contraria.
E abbiamo dimenticato la dignità di questi Uomini.
C.L.C. – Capitano Vincenzo Bellomo
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