Unione Marittimi, su richiesta dell’interessato, raccoglie la testimonianza di un Uomo di Mare, il Comandante Marco Prota, e propone la sua lettera aperta “La vita degli Uomini di Mare simile a una quarantena”, che esprime in modo forte la sofferenza di un mondo, quello dei Marittimi, troppo spesso dimenticato dalla politica e dalle sue scelte economiche e legislative.
La vita degli Uomini di Mare simile a una quarantena
<< Purtroppo a bordo le giornate scorrono velocemente, riducendo il tempo libero a poche chiacchiere tra colleghi solo a fine giornata.
Tuttavia ho provato a scrivere poche righe, sperando possano essere portate e diffuse ovunque ci sia qualcuno che ci ascolta.
Premesso che lavoro in un contesto in cui il nostro Armatore ci gratifica e ci rende parte di un’unica famiglia – condizione rara in questo mondo – voglio descrivere il mio pensiero con queste poche righe.
Sono un Capitano di Lungo Corso la cui carriera è iniziata nel 1998, come allievo corsista.
A quel tempo sembrava che nessuno volesse più credere alla nostra marineria né tanto meno investire un centesimo su quell’allievo che oggi è Comandante di una unità mercantile e contribuisce al trasporto mondiale via mare: il più efficace per la movimentazione logistica di grosse quantità di merce.
Lo dico con grande orgoglio perchè nonostante facciamo parte di quel limbo che sta tra gli “Uomini Vivi” e gli “Uomini Morti” – perchè viviamo ma non esistiamo per nessuno – del mio lavoro e della mia professione io sono FIERO.
Durante questa emergenza COVID ho potuto riflettere su alcuni punti che stanno molto a cuore a tutti noi Gente di Mare.
Il mondo ha sperimentato per la prima volta, a causa della pandemia, cosa vuol dire essere in quarantena. Abbiamo ascoltato i messaggi di incoraggiamento per sopportare una condizione in cui nessun essere umano vorrebbe e dovrebbe mai trovarsi.
Abbiamo visto famiglie divise per un lungo periodo di tempo, sottratte al conforto dell’abbraccio dei loro cari, isolati in spazi ristretti,oppure condividendo spazi ristretti, privati di ogni libertà.
Dopo poco tempo abbiamo iniziato a sentire il peso di questa situazione, dalla più banale privazione della routine della propria quotidianità fino alla straziante negazione della insopprimibile necessità di dare l’ultimo saluto a un proprio caro che lasciava questa vita.
E abbiamo visto gente legittimamente preoccupata per la crisi economica derivante dal forzato lockdown o in molti casi per la perdita del proprio posto di lavoro.
Ma perchè vi parlo di questo?
Queste considerazioni e stati d’animo nati da un imprevedibile situazione di emergenza sanitaria sono la quotidianità di un Uomo di Mare
La nostra vita può essere paragonata ad una quarantena e spiego perchè.
L’imbarco avviene col cuore stretto: abbiamo appena salutato i nostri figli, le nostre mogli, i nostri padri e le nostre madri sapendo di non poterli rivedere per almeno quattro mesi o in alcuni casi sapendo di non poterli vedere mai più.
Saliti a bordo delle nostra navi sappiamo che da quel momento in poi condivideremo la nostra nuova dimora, in spazi ristretti, con sconosciuti provenienti da paesi e culture diverse, chiusi ciascuno nell’indifferenza dell’estraneo.
Il marittimo ha bisogno di almeno 20 giorni per adattarsi alla sua nuova quotidianità.
Per un allievo, poi, il rischio di incontrare un comandante o un direttore o un primo ufficiale poco empatico pesa psicologicamente per la paura di perdere il proprio lavoro e di essere sbarcato.
Per i marittimi anche il momento della pausa dal proprio turno a volte è un problema.
Non ci sono svaghi o momenti di condivisione o peggio non abbiamo la possibilità di contattare le nostre famiglie se non in prossimità di una costa “amica”. Per lo stesso motivo è difficile avere notizie dal mondo attraverso i soliti mezzi di comunicazione.
Una volta attraccati, la sosta in porto non si mostra più favorevole.
La nave mercantile ormeggia normalmente lontano dai centri abitati – non tutte le navi sono “da crociera” – con aggravio di costi e di fatica per poter scendere anche solo per qualche ora.
Così in tanti, troppi casi, il marittimo – visto sempre come merce – si imbatte nei soliti personaggi che vendono schede locali a caro prezzo.
A fine imbarco, dopo 4/5 mesi di questa vita “sospesa” – fatta di silenzi, di sacrifici, di paure, di solitudine e di vuoti incolmabili si torna a casa con gioia e tristezza insieme.
Sappiamo di doverci riadattare nuovamente alla quotidianità della terra ferma, ad una realtà paradossale in cui la presenza e il calore delle nostre stesse famiglie ci stordiscono.
Tutto è strano, non dondolare in una stanza, non vedere oggetti muoversi in preda ai capricci un mare odiato e amato insieme.
Ma questa fatica psicofisica che avvertiamo tutti, una volta sbarcati, è solo l’inizio del nostro duro viaggio per il ritorno alla terra ferma e alla quotidianità.
Il marittimo sbarcato è disoccupato, una vita da precario si potrebbe intitolare questo racconto.
Ed è ora che inizia la battaglia di ciascuno per rivendicare la propria dignità di uomini attraverso il proprio lavoro, non certo attraverso l’assistenza dello Stato.
Ma inizia il calvario, ci si ritrova in fila all’Ufficio di collocamento, al cospetto del solito impiegato annoiato e supponente al quale in molti casi bisogna specificare il significato del proprio lavoro.
Oppure si avrà a che fare con un Dottore della Cassa Marittima
Quello che cerco di dire è che per tutti il covid – 19 e le sue conseguenze psicologiche ed economiche sono state una situazione eccezionale ed emergenziale, per il marittimo è la consuetudine della propria quotidianità. E forse ora il nostro disagio e il nostro isolamento potranno essere quantomeno compresi.
Le mie parole nascono dall’urgente necessità di rivendicare rispetto per la dignità e la vita di ciascun uomo di mare sia quando è per mare sia quando è a terra, e per il suo lavoro che svolge con orgoglio, amore e dedizione.
E allora parlo a chi ha il potere di agire e mi permetto di fare delle proposte
Ho voluto con queste parole e questi suggerimenti – che credo di condividere con il resto degli Uomini di mare – esprimere tutto il disagio per il silenzio e l’indifferenza nella quale l’intera categoria è stata lasciata anzi dimenticata nel corso degli anni, nonostante l’amore, la determinazione e l’abnegazione con le quali ciascuno di noi ha continuato a fare il suo dovere consapevoli del valore del nostro mestiere e dei valori della nostra Patria che abbiamo portato con noi in qualsiasi parte del mondo. >>
C.L.C. Marco Prota
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